Ancora fanciullo, durante una delle solite passeggiate domenicali a Via Veneto (allora abitavamo a Via Sardegna, una traversa di Via Veneto), mio padre che era stato in gioventù calciatore, indicandomi un signore seduto ad uno dei tavolini del famoso Caffè Doney, mi disse: ”Vedi? Quello è il padrone della squadra di calcio del Palermo!”. In realtà quel personaggio, piuttosto bassino e con una ampia stempiatura non mi colpì particolarmente se non per l’estrema eleganza e la gentilezza con cui rispondeva a chi lo salutava; solo diversi anni più tardi venni a sapere che si trattava del principe Raimondo Lanza di Trabia e volli approfondirne la conoscenza.
Nato nel 1915 da una relazione clandestina tra Giuseppe Lanza Branciforte principe di Scordia ed una nobildonna veneta, Maddalena Papadopoli Aldobrandini, Raimondo fu registrato come figlio di N.N. e solo nel 1940, grazie alla sua influente nonna paterna, Giulia Florio, ottenne con decreto la legittimazione con i relativi diritti ereditari sul nome e sul patrimonio del padre nel frattempo defunto.
Peraltro, già dai suoi 12 anni si era trasferito a Palermo, appunto presso la nonna Giulia che abitava a Palazzo Butera, uno dei più splendidi edifici del lungomare peloritano.
Seduttore naturale, ottimo sportivo (prese parte anche ad alcune corse automobilistiche della famosa Targa Florio), sempre in bilico, come i personaggi di Pirandello, tra realtà ed immaginazione, lucidità e bizzarria, Raimondo visse pienamente la “jeunesse dorèe” ( una sorta di “dolce vita” ante litteram) del periodo precedente la seconda guerra mondiale da cui trasse, anzi l’occasione per allargare la sua notorietà partecipando prima alla guerra di Spagna, dove tornò con una medaglia d’argento e poi, a guerra dichiarata anche dall’Italia, divenendo ufficiale d’ordinanza del generale Carboni e successivamente facendo controspionaggio per le truppe alleate, ma comunque alquanto indifferente alle sorti del conflitto, preso come era nei suoi sogni di grandezza.
Dopo la guerra continuò la sua vita pazza e disordinata, tra amicizie con personaggi famosi come Onassis, lo Scià di Persia, Rehza Pahlevi, e attori da Errol Flynn, suo compagno di ubriacature, e Rita Hayworth, con cui ebbe una storia; per un paio di anni divenne anche presidente del Palermo calcio per il quale acquistò, per 40 milioni di lire, il giocatore danese Helge Bronèe, divenendo l’antesignano dell’attuale calciomercato.
Ma ormai i tempi stavano cambiando ed il principe, perso nelle sue stranezze e in un lusso sfrenato, vide sfumare il patrimonio di famiglia e nemmeno il suo matrimonio con l’attrice Olga Villi riuscì a dare alla sua vita un minimo di equilibrio pur avendo avuto dalla stessa già una figlia e attendendone un’altra. Tutto finì in quel triste novembre 1954, quando ubriaco e disperato, si uccise (forse) gettandosi da una finestra dell’Hotel Eden a Via Ludovisi, mettendo in atto ciò che qualche tempo prima aveva scritto in un suo libro incompiuto: “La voglia di morte sorge dal nulla, non si spiega. Chi avrebbe tutte le ragioni del mondo per farla finita neanche ci pensa. Chi, come me, non ha ragione alcuna eppure balla con l’idea ogni notte. A chi, come me, ha già tutto non resta che giocarsi tutto”.
Così è finita la vita di quello che è stato anche definito il “Grande Gatsby” italiano e che probabilmente ha ispirato a Domenico Modugno la canzone “L’uomo in frac”, un’ombra che si allontana nella notte elegante e tragica.
Articolo di Riccardo Bramante