di Riccardo Bramante
All’Istituto di Cultura Giapponese in Roma è in corso una interessante mostra che ha per oggetto il kimono, il tradizionale abito giapponese che ancora oggi, dopo 800 anni, è rimasto praticamente identico nella forma, semplificandosi soltanto per rispondere alle moderne esigenze di praticità; si pensi, infatti, che il tradizionale kimono era composto da almeno 12 parti separate che richiedevano quasi un’ora per essere sovrapposte l’una sull’altra secondo regole ben precise, tanto da richiedere l’assistenza di esperti professionisti per aiutare ad indossarli.
Influenzato inizialmente dall’abbigliamento tradizionale cinese, il kimono diviene successivamente come una tela su cui esperti maestri riportano disegni e decorazioni rifacentisi alla natura, alla religione, all’infanzia e, in quelli più recenti, anche ad immagini della pittura pop e moderna mentre i colori, con l’avvento delle tinture chimiche, divengono più brillanti e fantastici.
Non per nulla, tutti i maggiori artisti dell’ 800 giapponese da Utagawa Hiroshige a Kitagawa Utamaro, a Katsushiku Hokusai hanno rappresentato nei loro dipinti il kimono come simbolo strettamente legato al mondo femminile delle geishe ed al fascino dei leggendari guerrieri (perché il kimono è indossato anche al maschile) con tutte le sue variazioni di colore e foggia indicative del grado sociale e culturale dei soggetti.
Ma la cosa più interessante, che rispecchia l’essenza stessa della cultura giapponese in cui l’essere è più importante dell’apparire, è che questi disegni e decorazioni si trovano non fuori ma all’interno, nella fodera del kimono stesso, appunto a contatto con il cuore e con l’anima.
Tutto ciò risulta evidente attraverso i magnifici disegni che si possono ammirare nelle vesti esposte, in cui si alternano, tra le altre, raffigurazioni del dio della pesca Ebisu, del dio della saggezza Fukurokuju o di Daruma, il fondatore del buddismo zen.
La mostra, che è curata da Maria Cristina Gasperini e Yurina Tsurui in collaborazione con il Museo delle Civiltà di Roma, presenta circa 200 pezzi raccolti in 15 anni di paziente ricerca dalla storica dell’arte Lydia Manavello e si articola in quattro sezioni dedicate, rispettivamente all’infanzia, alla natura, alla religione e alla tradizione e fornisce un quadro esaustivo di questo particolare e tipico capo di abbigliamento.
La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 19 gennaio 2019.
Articolo di Riccardo Bramante