di Riccardo Bramante
Dal 16 settembre e fino al 6 gennaio 2019 il Museo d’Arte della Svizzera Italiana (MASI) di Lugano rende omaggio all’arte poetica del maestro del surrealismo, il belga Renè Magritte con una mostra che ha come filo conduttore la conferenza che l’artista tenne nel novembre 1938 al Musèe Royal des Beaux-Arts di Anversa, in una delle rarissime occasioni in cui volle parlare in pubblico dei propri lavori.
In quella occasione Magritte approfondì l’evoluzione della propria poetica artistica e rivelò i meccanismi che muovevano la sua pittura, allora difficili da comprendere dai più, attraverso una serie di immagini e ricordi personali che svelavano i principi attraverso cui anche oggetti quotidiani divenivano nelle sue opere immagini conturbanti che sovvertivano le regole e gli stereotipi all’epoca imperanti. “Questi sono stati i mezzi per costringere gli oggetti a diventare finalmente sensazionali!”, così l’artista belga concludeva la sua conferenza.
Proprio seguendo tale traccia la mostra vuole offrire ai visitatori le basi per comprendere l’origine e le fonti di ispirazione di un artista che come pochi ha ancora oggi la capacità di colpire e suggestionare il pubblico.
Il percorso espositivo propone, infatti, circa novanta opere, in prestito da istituzioni internazionali e collezioni private, che partendo dalle creazioni dei primi anni Venti mostrano già l’influenza che su Magritte ebbe il movimento italiano del Futurismo con i dinamismi di Umberto Boccioni ed i valori plastici di Carlo Carrà e, soprattutto, la metafisica di Giorgio De Chirico che lo aprì “all’ascolto del silenzio del mondo”.
Nei successivi lavori vengono poi a delinearsi meglio i temi preferiti dell’artista con effetti poetici sconvolgenti raggiunti soprattutto attraverso lo “spaesamento” di oggetti comuni decontestualizzati dalla loro realtà e trasformati in immagini misteriose ed ingannevoli, come, ad esempio, nel capolavoro “Il nottambulo” in cui un uomo è rappresentato in un ambiente domestico con un lampione di strada al centro del salotto; e ancora opere che associano in modo arbitrario immagini e parole come nelle sue “peinture-mots” di cui “I riflessi del tempo” e “L’albero della scienza” ne sono un esempio.
Da tutte le sue opere di quel periodo emerge, comunque, uno slancio rivoluzionario ed il rovesciamento di ordini e certezze esistenti che fanno passare in secondo piano le critiche mossegli sia sul piano sociale, in quanto non in linea con l’impegno politico dei suoi colleghi surrealisti, sia sul piano strettamente artistico per la rinuncia ad un suo personale stile pittorico in favore di una rappresentazione scarna e priva di qualità plastiche.
La mostra presenta anche una ampia selezione di lavori successivi alla citata conferenza del 1938, ma sempre in linea con i principi là evidenziati, tra cui alcuni dei suoi dipinti più celebri realizzati tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Sessanta come “La memoria”, “Il castello dei Pirenei”e “La Grande Guerra”.
La mostra è stata organizzata con il sostegno della “Fondazione Magritte” in collaborazione con Amos Rex e curata dai critici Xavier Cannone, Julie Waseige e Guido Comis che hanno contribuito anche alla realizzazione del catalogo in lingua italiana, inglese e francese.
Articolo di Riccardo Bramante