di Riccardo Bramante
Voluto dal Re Carlo III di Spagna ed aperto nel 1819 nel maestoso edificio opera dell’architetto Jean de Villanueva, il Museo del Prado fu così chiamato perché sorto nei prati antistanti la Chiesa de los Jeronimos ed è il frutto soprattutto della passione per l’arte dei reali di Spagna, gli Asburgo prima ed i Borboni successivamente, rendendo, in qualche modo, la sua storia simile a quella degli Uffizi di Firenze sorti anch’essi dalla iniziativa privata della famiglia dei Medici.
Alla sua apertura, nel 1819, il Museo contava solo 311 dipinti soltanto di artisti spagnoli, ma si arricchì rapidamente con diverse acquisizioni dalle collezioni private dei Re spagnoli e di altre istituzioni soppresse, come conventi e chiese, oltre che da donazioni di privati fino a contare oggi un centinaio di opere di Rubens, circa 80 Velazquez, oltre 40 dipinti di Tiziano e diversi importanti quadri di fiamminghi come Bosch, van der Weiden e Brueghel.
“La ricorrenza di questo bicentenario – ha detto il Direttore del Museo, Miguel Falomir- costituisce l’opportunità per promuovere una riflessione su passato, presente e futuro di questa Istituzione” e per approfondire, quindi, lo studio e la ricerca sui tre grandi pilastri dell’arte spagnola, fiamminga ed italiana che costituiscono il tesoro principale del Museo stesso.
Per la pittura spagnola sarà presentato per l’occasione un nuovo “catalogo ragionato” dei disegni di Goya che raccoglierà più di un centinaio di lavori tracciando un percorso cronologico dai cosidetti “taccuini italiani” agli “album di Bordeaux”, mentre nella mostra dedicata a Velazquez saranno presentati 61 dipinti non solo dell’artista spagnolo ma anche di tutti quei pittori suoi contemporanei che lo hanno influenzato, da Tiziano al Tintoretto, da Rubens a Zurbaran e tanti altri
Quanto alla pittura fiamminga, oltre alle tante opere permanenti, sarà esposto “uno dei più preziosi incunaboli della pittura ad olio” (secondo il critico Pedro de Madrazo), la misteriosa “Fontana delle Grazie” della scuola di van Eyck, finalmente riportato al suo antico splendore dopo un lungo lavoro di restauro nei laboratori del Prado.
Laboratori da cui è stato rimesso recentemente a nuovo e presentato al pubblico anche la cosiddetta “Gioconda del Prado”, copia identica del capolavoro di Leonardo, ed “Il trionfo della morte” di Brueghel il Vecchio.
La pittura italiana avrà, invece, il suo spazio, dal maggio al settembre 2019, con opere del Beato Angelico, di Raffaello e di altri artisti rappresentanti del Rinascimento fiorentino, fino ad arrivare a due figure femminili di quel periodo forse ancora poco note: Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, la prima aristocratica e autodidatta che si dedicò soprattutto alla ritrattistica, mentre la seconda fu un raro caso di donna che, prima ancora di Artemisia Gentileschi, intraprese la carriera di pittrice fino ad allora prettamente maschile. “L’Annunciazione” del Beato Angelico sarà, d’altra parte, l’opera centrale del settore dedicato all’arte italiana insieme ad altri due suoi dipinti, “Il funerale di Sant’Antonio Abate” e la “Virgen de la Granada”.
Risulta evidente, pertanto, l’obbiettivo di fondo di queste celebrazioni del bicentenario: quello di narrare attraverso l’arte di come sia possibile trasformare una collezione privata, concepita per gli occhi di pochi, nella principale Istituzione culturale di proprietà dell’intera Nazione spagnola.
Articolo di Riccardo Bramante