L’opera di Johann Carl Loth “Giove e Mercurio ospitati da Filemone e Bauci”, conservata a Vienna, Kunsthistorisches Museum riporta ai miti greci, narrati nelle Metamorfosi di Ovidio. Si parla della virtù dell’ospitalità ma anche dell’amore reciproco di due sposi anziani che ne conservano vivo il sentimento.
Zeus ed Ermes, scendono sulla terra in anonimato per osservare il modo di vivere degli uomini. Non essendo riconoscibili come Dei vengono maltrattati e le persone sono sgarbate e poco generose. Non offrono ne da mangiare ne ospitalità per la notte. Un giorno giungono all’umile capanna, di due vecchi sposi Filemone e Bauci che vivono di stenti, ma si vogliono bene e si accontentano di ciò che hanno.
Offrono ospitalità ai due simulati “accattoni” condividendo il poco che hanno e nel corso della misera cena si accorgono che la giara del vino è sempre colma e quindi costringono a svelare l’identità a Zeus ed Ermes. Quando comprendono che al loro desco c’erano due Dei Filemone e Bauci si sentono imbarazzati per aver solo umili cibi, e si propongono di cucinare l’oca del cortile, loro unico animale.
Gli dei, commossi da tanta bontà e generosità d’animo, li premiano decretando contestualmente di punire tutti gli altri uomini, egoisti e insensibili. Fanno cadere sulla zona una pioggia torrenziale, che allaga tutto, ma non il capanno di Filemone e Bauci, che trasformano in un tempio di marmo e oro. Zeus chiede ai due anziani sposi di manifestare un loro desiderio. Filemone e Bauci desiderano solo d’esser custodi del tempio e di non venire mai separati, nemmeno dopo la morte.
Filemone e Bauci trascorrono serenamente il resto della loro vita fino al giorno della loro morte trasformandosi in quel preciso istante in una quercia e in un tiglio con rami intrecciati in un eterno abbraccio.
di Ester M. Campese