
Studiò giornalismo in Germania, a Lipsia, e, pur non raggiungendo mai la sospirata laurea, collaborò con la Frankfurter Zeitung ( oggi Frankfurter Allgemeine Zeitung) uno dei più accreditati quotidiani già da quell’epoca. Rientrato in Ungheria nel 1938, cominciò ad essere conosciuto per il suo stile di scrittura estremamente realistico e per essere stato il primo a recensire e riconoscere la grandezza delle opere di Franz Kafka. Fuggito dall’Ungheria nel 1948 per evitare le persecuzioni comuniste, si trasferì prima in Svizzera e poi in Italia, a Napoli, e infine negli Stati Uniti, dove ne prese la cittadinanza e successivamente morì suicida nel 1989, dopo una serie di grandi contrasti e lutti familiari.
Numerose sono le opere da lui scritte: tra queste sono da ricordare “Il sangue di S. Gennaro” e “Terra, terra….ricordi” redatte durante i suoi soggiorni in Italia ma i romanzi per cui è maggiormente noto sono “Le braci” e “L’eredità di Eszter”, in cui il cupo e doloroso scorrere della vita dei protagonisti (soprattutto Eszter) viene studiato psicologicamente in modo drammatico.

Poche sono le sue opere ( poesie, romanzi e diarii) tradotte anche in italiano perché furono soprattutto gli editori francesi e tedeschi che ebbero fiducia nelle sue capacità e lo fecero conoscere fino ad essere considerato oggi uno dei maggiori interpreti della letteratura europea del XX secolo e divenire oggetto, con il suo romanzo “L’eredità di Eszter”,di un film prodotto in Ungheria nel 2008 e là favorevolmente accolto dalla critica, mentre non ha avuto diffusione negli altri Paesi europei.
Articolo di Riccardo Bramante