Il 15 aprile ricorre il 51° anniversario della morte del “principe della risata” Antonio de Curtis, in arte Totò. La sua fu una vita segnata fin dalla fanciullezza da condizioni economiche fortemente disagiate ma, nello stesso tempo, con una grande vocazione artistica che lo portò fin da piccolo ad esibirsi in macchiette ed nei teatrini periferici di Napoli.
Nato nel 1898 da una relazione della madre, Anna Clemente, con Giuseppe De Curtis, il quale inizialmente non lo riconobbe salvo poi sposare la madre anni dopo dandogli il suo cognome, Totò, dopo alcuni infruttuosi tentativi nella cosiddetta “commedia dell’arte”, puntò decisamente verso il genere a lui più congeniale, quello del “varietà” debuttando a Roma al Teatro Ambra Jovinelli e successivamente alla Sala Umberto dove ottenne un grande successo. Tornò poi al Teatro Nuovo di Napoli dove recitò come “vedette” in alcuni spettacolo come “Miseria e nobiltà”, “I tre Moschettieri” e “Messalina”.
Proprio a Napoli nel 1929 Totò conobbe il suo primo, vero grande amore, la sciantosa Liliana Castagnola che lo amò in modo sincero e appassionato tanto che, non essendo pienamente ricambiata dall’artista, si suicidò ingerendo un intero tubetto di sonniferi.
Divenuto capocomico in una compagnia di avanspettacolo, nel 1932 durante una tournèe a Firenze conobbe ad una cena l’allora sedicenne Diana Rogliani, figlia di un suo amico, che sposò nonostante l’opposizione di parenti ed amici e da cui ebbe una figlia che chiamò Liliana in memoria della compianta Liliana Castagnola.
La sua forte volontà di emergere dalla povertà in cui era vissuto lo spinse a farsi adottare da uno spiantato marchese Francesco Maria Gagliardi Focas che, per un compenso di 500 lire al mese, lo fregiò dei suoi titoli nobiliari , titoli di cui egli andava fiero tanto da ampliarli fino a farsi registrare, con decreto ministeriale del 1941, come “Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e d’Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d’Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo”!
Nonostante la guerra in corso e le relative difficoltà sia economiche che organizzative, Totò tornò al teatro con diverse riviste di successo come “Quando meno te l’aspetti”, recitata con Anna Magnani, “Che ti sei messo in testa”, che gli creò problemi con la censura fascista, “Orlando Curioso” e tante altre tra cui l’ultima “Bada che ti mangio!” nella stagione 1949/1950. Da questo momento si dedicò solamente al cinema, anche per l’aggravarsi di una malattia agli occhi che lo stava rendendo lentamente cieco. Tra il 1949 ed il 1950 interpretò ben 10 film tra cui “Napoli milionaria”, “Totò le Mokò”, “Totò cerca moglie” e “47 morto che parla” tutti diretti da Carlo Ludovico Bragaglia.
Con il regista Mario Monicelli recitò poi in “Totò cerca casa”, parodia del neorealismo sulla crisi degli alloggi, “Guardie e ladri”, con uno dei suoi più affezionati amici, Aldo Fabrizi, “Totò e Carolina” con Anna Maria Ferrero uscito dopo quasi due anni dal termine della lavorazione perché ripetutamente sottoposto a tagli dalla censura (81) preoccupata dal fatto che Totò impersonava un poliziotto talvolta in atteggiamenti ridicoli. Seguirono tantissimi altri film di maggiore o minor successo come “Un turco napoletano”. “Il medico dei pazzi”, “Una di quelle” con Lea Padovani e “Totò, Peppino e la malafemmina” con la regia di Camillo Mastrocinque.
Nel 1952 conobbe, attraverso una foto su una rivista, la giovanissima attrice Franca Faldini e fu il classico colpo di fulmine; pur non sposandosi rimasero insieme tutta la vita e le sue ultime parole sul letto di morte furono un attestato d’amore per lei (“t’aggio voluto bene assaie”). Colpito, infatti, da un infarto (si dice a seguito di abbondanti libagioni) lasciò questo mondo nel modo in cui forse avrebbe voluto come ultima “sceneggiata”: ben tre furono, infatti, i funerali celebrati in suo onore: il primo, quello ufficiale, si svolse nella Chiesa di Sant’Eugenio al Viale Belle Arti vicino alla sua abitazione a Roma; il secondo funerale fu celebrato nella Basilica del Carmine in Piazza Mercato a Napoli organizzato con grandissima affluenza di popolo, circa 30.000 persone, dal suo amico attore e cantante Nino Taranto (“oggi hai fatto l’ultimo esaurito della tua vita” disse nell’orazione funebre); il terzo funerale fu invece fatto nella Chiesa di Santa Maria della Sanità da un certo Luigi Campoluongo, guappo del rione che volle salutare Totò nel luogo dove era nato con una grandissima processione che seguiva una bara ovviamente vuota.
Degna chiusura di una vita trascorsa all’insegna di estremi opposti: ricchezza e povertà (“io la povertà la conosco a memoria”,diceva), passioni reali e sceneggiate, manie di grandezza ed estreme manifestazioni di generosità.
Articolo di Riccardo Bramante