di Anna Maria Stefanini
Dev’esser per questo che lo chiamavano Tiberinus pater; vedere Roma dalle acque del Tevere è un’esperienza che si dovrebbe insegnare a scuola. Ti aspetti una festa e fai un viaggio nell’anima; questo è il Rotary Club Aniene. Questa è la “festa della charta“ a bordo del battello Agrippina Maggiore, con Sara Iannone, Chiara Zamboni per il Rotary Club Roma Aniene, e con tanti amici; questa festa è in realtà una metafora del viaggio.
Non siamo i primi a truccare le carte; Omero, Goethe, Joyce, Kerouac hanno concepito la medesima cosa: il viaggio non è pensato per andare verso una meta; è esso stesso la meta e l’aperitivo, la cena, il violino, le luci sono soltanto degli acceleratori per creare la comunità dei naviganti, disimpegnare i sensi e assorbire totalmente l’esperienza.
Quando navighi nel Tevere non sei tu a navigare: è Roma che ti viene incontro e ti avvolge. Vista dal suo lato liquido, Roma disvela quella natura che l’urbe solida spesso nasconde: il mito eterno che rimane mentre tutto scorre ed è sorprendente verificare come tre cose del tutto immateriali siano risultate di gran lunga più durature delle mura millenarie: la lingua, il mito e l’acqua che scorre. Perché l’acqua del Tevere non è solo un elemento materiale ma la forma del tempo che scorre; quella stessa acqua e quello stesso tempo che sperimentarono i fondatori. Navigare sul Tevere equivale ad attraversare il tempo.
Dante Alighieri scrisse nella sua Commedia, nel XXVII canto dell’Inferno, “… giogo di che Tever si diserra…”. Il fiume sacro ai destini di Roma, prima di accompagnarci a scoprire l’Urbs Aeterna nelle sue profondità, scende e si fa ammirare dal cuore. Il biondo Tevere, che apparve in sogno ad Enea, si unisce all’Aniene, al Rotary Club Aniene, per perseguire scopi umanitari e lasciare estasiati i passeggeri.
Scrisse Pirandello nella struggente poesia “Il fiume”:
“L’anima segue nella notte il fiume
Che dal grembo di Roma già silente,
siccome enorme, placido serpente,
svolgesi della luna al freddo lume.
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Chiama da lungi il mare tenebroso,
va il fiume senza tregua,
e al mare, ove non spera aver riposo,
si mesce, e vi si dilegua…”