di Riccardo Bramante
Di grande attualità e coraggio è la mostra recentemente aperta al Museo d’Orsay a Parigi dal titolo “Le modele noir”, con la presentazione di oltre cento opere che, con un approccio multidisciplinare tra storia dell’arte e storia delle idee, cerca di ridare un nome, un vissuto ed una visibilità a tutte quelle varie figure di neri che sono stati i modelli di pittori, scultori, fotografi ed artisti in generale dal momento della abolizione della schiavitù in Francia, nel 1794, ai giorni nostri.
Pur mantenendo una sua continuità, la mostra può suddividersi in tre diversi periodi; il primo inizia dalla Rivoluzione francese con la conseguente abolizione della schiavitù e già qui possono trovarsi i primi modelli nei ritratti dei cosiddetti “neri emancipati” come nel dipinto di Anne-Louise Girodet che raffigura Jean-Baptiste Belley o nella “Madeleine” di Marie-Guillemine Benoist. Ma l’artista più rappresentativo è certamente Theodore Gericault che aderisce al movimento abolizionista quando Napoleone I cerca di ristabilire la schiavitù nei Caraibi e mette al servizio della causa i suoi pennelli e la sua foga romantica in cui i neri sono figure energiche e nello stesso tempo dolorose come quello raffigurato nel famoso dipinto “La zattera della Medusa” modello che finalmente ha un nome, Joseph originario di Haiti, che incarna nel quadro il marinaio a torso nudo che sventola un fazzoletto.
Sempre di questo periodo sono il dipinto di Francois-Auguste Biard “La tratta dei neri” che tanto scalpore fece al Salon del 1835 e “La punizione dei quattro paletti” di Marcel Verdier, allievo di Ingres, che si vide rifiutare il suo quadro perchè rappresentava una delle torture più atroci a cui erano sottoposti gli schiavi se disobbedienti.
Più “intimista” è la seconda sezione della mostra in cui le nuove idee dell’Ottocento, sia in campo artistico che culturale, danno luogo ad una interessante mescolanza impersonata nella letteratura da Alexandre Dumas, nipote di Marie-Cesette Dumas schiava affrancata di Santo Domingo, e dall’attrice Jeanne Duval nata ad Haiti e divenuta a soli 15 anni musa di Baudelaire e, nella pittura, dai vari Manet, Degas e Cezanne in cui i modelli si ritrovano nella popolazione comune di neri che incominciava ad essere presente in Francia.
E’ questo il momento di “Olympia”, uno dei più noti quadri di Edouard Manet in cui lo scandalo suscitato dalla donna nuda in primo piano fa passare quasi inosservata la figura della domestica nera che le porge un mazzo di fiori e di cui, attraverso accurate ricerche, è stato trovato il nome, Laure schiava proveniente dai Caraibi che lo stesso Manet ha poi raffigurato anche in altri quadri come “La negra” e “Bambini alle Tuileries”.
Ma è nella terza sezione della mostra che i neri si affrancano dalla raffigurazione del dolore e assumono una loro individualità con le modelle nere di Matisse e quelle dai colori sgargianti di Gauguin soprattutto dopo il suo primo viaggio in Martinica dove viene colpito dalla vivacità delle indigene e dai colori tropicali che poi si ritrovano anche nelle nature lussureggianti di Rousseau il Doganiere fino alla riscoperta della statuaria africana operata, ad esempio, da Picasso che nelle sue “Demoiselles d’Avignon” sostituisce il viso di una delle cinque figure con una maschera africana Baoulè e Matisse che dipinge un “Nudo blu” il cui modello è anch’esso di chiara matrice africana.
A buon motivo, quindi, la mostra che terminerà a Parigi il 21 luglio farà successivamente tappa a Pointe-a-Pitre in Guadalupa fino alla fine di dicembre 2019.
Articolo di Riccardo Bramante