di Ester Campese
Ogni periodo dell’anno ha le sue tradizioni e leggende. “La raccoglitrice di vischio” opera del 1894 attribuita a John Everett Millais (o suo seguace) ci offre lo spunto di parlare di quella del vischio. L’opera appartenente alla collezione privata che fu di Joseph Robinson, elegante uomo sudafricano residente a Londra, che oltre a diversi dipinti di Millais possedeva opere del Tiepolo, Van Dyck e Rubens.
“La raccoglitrice di vischio” ci parla della leggenda di questo arbusto aereo sempreverde, che trova le sue origini nella cultura nordica dei Celti e che ci riporta alla morte di Baldr, figlio di Odino e della Dea Frigg che pregò le forze della natura, piante ed animali, di non fare mai del male al figlio, dimenticandosi però del germoglio di Vischio. Il dio del male, Loki, che seppe della dimenticanza, costruì una freccia con rami di Vischio armando Hodhr, fratello cieco di Baldr, che inconsapevolmente lo uccise. Grande fu il dolore della Dea Frigg, le cui lacrime si cristallizzarono formando le bacche di Vischio, che miracolosamente cadendo ridiedero vita al figlio. La dea ringraziò con un bacio tutti quelli che passavano sotto a quella pianta, ritenendola simbolo dell’amore che sconfigge la morte.
L’opera “La raccoglitrice di vischio” raffigura una ragazza in mezzo alla neve, con una fascina carica di rami di vischio che si ristora in uno scenario invernale innevato e si volta come a controllare che i rami di vischio, alle spalle, non tocchino il suolo; ciò in quanto in epoca vittoriana vi era la convinzione che il vischio, pianta aerea e senza radici, non dovesse mai toccare il suolo per non contaminarsi con gli spiriti maligni terreni perdendone così i magici poteri.
Ancora oggi Vi è l’usanza di baciarsi in questi giorni di festa ed in particolare a Capodanno, sotto rami di Vischio, proprio come emblema e auspicio d’amore. I Druidi, antichi sacerdoti Celtici, nella loro lingua chiamavano il vischio “pianta che sana tutte le cose”.