Gli anni tra il 1890 e il 1918 segnano il momento di massimo fulgore e, nello stesso tempo, il canto del cigno per l’Impero Austro-Ungarico; venti di novità sconvolgono il mondo dell’arte, della letteratura, dell’architettura, della musica, della psicologia dando vita al “Modernismo di Vienna”. I ritratti femminili di Gustav Klimt, gli spietati autoritratti di Egon Schiele, i design di Koloman Moser per la Wiener Werkstaette, il rinnovamento urbanistico di Otto Wagner sono solo una parte delle conquiste artistiche di quest’epoca. E la triste circostanza che in questo anno 2018 ricorra il centenario della morte di ciascuno di loro è stata l’occasione per mettere in vetrina le loro opere, oltre a quelle di altri artisti di eccezione, con una serie di mostre organizzate a Vienna in diverse locations di prestigio.
Noi qui ci vogliamo soffermare, in particolare, su uno di questi eventi che si aprirà proprio il 23 marzo nel barocco Palazzo Belvedere e che ha il titolo significativo: ”Klimt non è la fine. Nuovi fermenti nell’Europa Centrale”. In effetti si è portati spesso a pensare che la morte dei quattro grandi artisti suddetti costituisca la fine di un’epoca e di un periodo di irripetibile fioritura artistica; questa esposizione, invece, vuole mostrare non solo quali cambiamenti storici portò con sè il termine della Grande Guerra, ma anche quali nuove prospettive si aprirono per gli Stati nazionali nascenti e per la stessa Vienna nei primi anni del Novecento.
La mostra di Palazzo Belvedere si sofferma su quelli che furono appunto i quattro pilastri su cui si basò l’evoluzione successiva nei diversi campi con una ampia esposizione di circa 80 opere degli artisti.
L’architetto e ingegnere Otto Wagner, che oggi potrebbe essere definito designer, urbanista e sviluppatore di progetti (come uno degli attuali archistar) incarnò lo spirito della nuova epoca in cui l’attività imprenditoriale si intrecciava con gli interessi urbanistici senza però sovrastarli ma creando anzi un nuovo linguaggio formale che rifletteva il dinamismo della nascente metropoli viennese. A lui si debbono i numerosi lavori che ancora oggi sono visibili nella città e di cui la mostra dà esaurienti informazioni attraverso disegni e progetti, ad esempio della metropolitana e dell’imbrigliamento del Danubio che, scorrendo prima all’interno della città, causava spesso inondazioni e danni.
A sua volta Koloman Moser, una sorta di moderno designer grafico e architetto di interni, si interessò di tutto, dalle tappezzerie ai mobili, dalle vetrate di finestre ai manifesti in principio elaborando il tutto in forme sinuose ispirate allo stile floreale e passando poi ad uno stile ornamentale geometrico di alto contenuto estetico di cui sono il risultato i prodotti della celebre Wiener Werkstaette che contribuì a fondare nel 1903 e che ancora oggi opera in uno splendido palazzo sulla Stephansplatz, la piazza del Duomo di Santo Stefano.
Quasi superfluo trattare di Gustav Klimt, tanta è la sua notorietà; inizialmente si occupò degli arredamenti del Burgtheater e del Kunsthistorisches Museum, istituzioni già allora famose nella vita culturale viennese, per poi affermarsi rapidamente come ritrattista dell’alta borghesia diventando il pittore più noto dell’Austria soprattutto per i suoi ritratti femminili che portò la pittura dello “Jugendstil” , lo stile floreale, alle sue massime espressioni. A proposito: la sua opera più conosciuta “Il bacio” è esposta permanentemente nel Belvedere Superiore.
Egon Schiele, infine, subì la forte influenza di Klimt anche se i suoi ritratti di donna, lontani dall’eleganza formale di Klimt stesso, lasciano invece trasparire l’interiorità sofferta e gli stati d’animo della persona ritratta e la rappresentazione del corpo assume una dimensione estatica e demoniaca, mentre i suoi paesaggi e immagini urbane denotano ormai il suo passaggio all’espressionismo.
La mostra al Belvedere Inferiore rimarrà aperta fino al 26 agosto.
Articolo di Riccardo Bramante