Che bellezza questo retrogusto vintage che tanto coccola quei finimenti rock alternativi, assai inglesi per certi versi. Che bello questo tornare indietro a quegli anni ’90 di controculture rock e centri sociali, anni in cui la nostra distorsione faceva anche molto il verso al resto del mondo. I Moostroo di Dulco Mazzoleni, Francesco Pontiggia e Igor Malvestiti tornano con un disco dal titolo “Male” dentro cui ci rivedo il tempo della mia adolescenza. Citiamo come l’intero progetto è accompagnato visivamente dalla pubblicazione di carte di tarocchi, disegnate da Lucrezia Fontana in arte Aizer, ognuna delle quali si lega a uno dei brani in uscita.

Il male… e per voi cos’è? Qualcosa da canzonare o qualcosa da prendere sul serio?
Canzonare il male è una battaglia persa. Il male è ovunque, dentro e fuori ciascuno di noi. Il male va affrontato per capirne la natura e depotenziarne la portata, ma soprattutto per riconoscere che cosa sia il suo contrario. È una pratica che destabilizza e necessita di un certo coraggio. Noi facciamo canzoni e a canzoni non si fan rivoluzioni, diceva il poeta, ma la canzone è l’espressione di chi la scrive e forse abbiamo messo in scena il corto circuito che produce in noi il contatto con il male, reputandolo un atto di coraggio: esplicitare la propria contraddizione come prototipo della contraddizione dell’esistere. Il fine è entrare in contatto con l’animo di chi ci ascolta, diventare un risuonatore di riflessioni. In buona sostanza, nonostante noi si sia dei gran cazzoni, cerchiamo di non pigliarci per il culo nell’esprimere la nostra visione di mondo, come a dire che siamo dei serissimi pagliacci e che una risata vi seppellirà.

E questo disco che rapporto ha con il male?
Questo è un disco in cui male e bene fanno a cazzotti: è il primo capitolo di due capitoli che si chiuderanno con la pubblicazione ventura di “Bene”. Nel disco, il male traspare in molte forme, con la sua portata disarmante, ma anche con l’effetto reattivo che provoca. Siamo fortunati, possiamo liberare i nostri conflitti grazie al linguaggio delle canzoni, è una magra consolazione, ma anche una fortunata benedizione. Non fosse così, forse saremmo implosi in noi stessi o alla peggio avremmo fatto esplodere qualcosa. Misurarsi col male è quindi misurarsi con il proprio equilibrio esistenziale, certo, a canzonette, ma la nostra libido ne benefica, se poi benefica anche la libido altrui, allora diventa un gran godimento ritualistico. Suonare è la nostra liturgia che ci riconcilia con noi stessi e con il mondo.

E perché i tarocchi dietro questo suono?
Il tarocco è un’ancestrale forma simbolica che rievoca archetipi di tratti della personalità umana. Noi non abbiamo prodotto tarocchi, bensì 8 carte ispirate al tarocco, le quali rappresentano accoppiate una canzone di “Male” e una di “Bene”. Le abbiamo pensate canzoni in dialogo tra loro, come se una richiamasse l’altra. L’artista di queste carte è Lucrezia Fontana, aka Aizer, la quale ha interpretato in chiave moostroosa il nostro immaginario. Spesso ai nostri live è presente Samuele Togni, giovane poeta, che ha creato una chiave interpretativa di queste carte e si presta a leggerle a chi interessato. Inoltre non abbiamo pubblicato il disco fisico. Lo si trova sulle piattaforme in streaming oppure, acquistando le carte, è possibile, attraverso un QR Code scaricare il disco in digitale. Pubblicheremo un vinile dopo la pubblicazione di “Bene”. Per arrivare a compimento di questo progetto abbiamo e stiamo collaborando con il collettivo di musicisti Do Ink Yourself, perché la contaminazione creativa ci ha sempre regalato ottimi frutti.

Dite: “L’idea di svagare e “spensierarsi” con ciò che produciamo, ci fa orticaria. Quindi a questo giro diamo forma di carezze a schiaffi alla vita”. Direi però che la leggerezza è divenuta assai pop non trovate? Non penso porti l’orticaria…
Non siamo qui a giudicare codici musicali specifici. Pensiamo solo che la criticità del presente ci debba tenere svegli sul presente piuttosto che intorpiditi da armi di distrazione di massa. Abbiamo ampiamente fatto festa e volentieri continueremmo, ma a volte un bel ceffone è necessario per riportarsi alla realtà. Pensi forse ci sia da festeggiare di fronte a una guerra nel cuore dell’Europa, di fronte alla morte per omissione di soccorso verso chi fugge via mare dal male della sua terra, di fronte agli squilibri economici prodotti da un’economia in cui l’umanità è solo un mezzo e non un fine, di fronte all’indifferenza verso l’autoestinzione da alterazione climatica… devo andare avanti? Capiamoci, non siamo intenzionati a fare profezie da fine del mondo, non intendiamo fare i Savonarola, ma trattare con gravità la gravità della storia presente. Facciamo musica pesantissima nei contenuti attraverso una forma tutto sommato orecchiabile, come quando si spalma del lubrificante prima di un’ispezione proctologica.

E che bel video assai allegorico… anzi, posso dirti “futuristico”? Nonostante i pupazzi mi riportino ai “Mappet”…
Il video di “DISPARISPARI”, a cui fai riferimento è farina del nostro sacco. Ci piace esprimere il potenziale creativo che abbiamo. Ci siamo immaginati pupazzi, proprio come i Muppet, in balia di qualcosa che ci muove, privi di corpo, ridotti a sagome di noi stessi, ciò nonostante vitali e veraci, a cavallo ancora una volta fra ironia e serietà. Di futuristico c’è forse l’idea che si possa diventare burattini in mano a forze maggiori? Noi ci sentiamo ancorati al presente, presenti a noi stessi ora.