di Ester Campese
Passato il periodo del lockdown si ritorna finalmente ad una nuova ripartenza e ad una rinnovata socialità, ovviamente, con le dovute cautele. Questo periodo ci ha portato ad affrontare non solo il tema del distanziamento ma anche quello della solitudine e della ripresa economica. L’artista che per eccellenza ha toccato ed interpretato nelle sue opere l’argomento della solitudine è senza alcun dubbio lo statunitense Edward Hopper, massimo esponente del realismo americano del IX secolo.
Il dipinto “Summertime” del 1943, sicuramente sintetizza e rappresenta questo momento di ripartenza. L’opera, attualmente conservata al Delawear Art Museum di Wilmington, rappresenta e documenta proprio la ripresa ed il riavvio della vita economica del post guerra degli States.
La giovane donna ritratta indossa un abito leggero e trasparente suggerendo una “nuova estate” attraverso anche l’outfit curato e “innovato” simbolo di una nuova sperata prosperità in grado di superare le difficoltà, pur in un’apparente immobilismo. La donna infatti sosta come pensosa prima di procedere come si trovasse in uno stato d’animo di anticipazione. Sia in questo dipinto di Hopper, come in altri, i colori sono brillanti ma non tramandano, volutamente, particolare vivacità. Gli spazi, realistici, hanno qualcosa di metafisico trasferendo allo spettatore un certo senso di inquietudine. La scena appare deserta, come immersa in un silenzio “parlato”, sospeso.
Il movimento è offerto dalla tendina mossa dal vento alle spalle della protagonista, come l’aver superato “il momento”. Spesso nei dipinti di Hopper, come ben rappresentato anche nel caso di “Summertime”, vi è la presenza di una sola figura umana, ma anche in quelli in cui ci sono diverse persone, affiora l’incomunicabilità tra soggetti.
Edward Hopper fin da piccolo mostrò una propensione per il disegno con discreti apprezzamenti. Nel 1899 seguì un corso alla New York School of Illustrating. Capendo che questa era la sua strada nel 1900 si iscrisse alla New York School of Art, dove incontrò molti pittori colleghi, futuri protagonisti della scena artistica contemporanea del suo tempo, tra cui Robert Henri, fautore del realismo, nonché suo insegante. Le prime realizzazioni artistiche di Hopper riproducevano fondi scuri e grosse pennellate già preludio di una ricerca espressiva personale, attraverso il mezzo della luce.
Fu importante il suo primo viaggio a Parigi dove restò affascinato dalla pittura impressionista. Edward Hopper non incontrò subito il favore della critica e si dovette sostentare facendo l’illustratore pubblicitario per la C. C. Phillips & Company, un’esperienza poi gli fu utile nel ricercare l’essenziale in pochi dettagli rivelatori in quelle che poi saranno le sue atmosfere malinconiche quasi “sospese” da cui appunto attraverso un particolare sarà svelato il senso dell’intera scena rappresentata.
Seguirono altri viaggi di cui due in Europa, in Francia, prima di ristabilirsi definitivamente in America. Restò sul filone francofilo per diverso tempo, ma non ottenne subito l’apprezzamento della critica. Per un periodo si specializzò anche su acque forti, puntesecche ed incisioni, ricevendo diversi premi e tralasciando per un periodo la pittura, per riprenderla, abbandonate le nostalgie europee, con un nuovo stile che rappresentava spaccati di vita quotidiana americana con scene di New York e delle spiagge del New England. Il suo stile ricalcava la scuola impressionista ma rivisitata con l’impronta cineasta e la tecnica fotografica delle lastre dell’Autochrome, inventata dai fratelli Lumière. Finalmente incontrò il favore del grande pubblico e della critica con l’esposizione alla galleria Frank Rehn di Glocester, del 1924, che diede la svolta decisiva alla sua carriera artistica decretandolo caposcuola del realismo americano.