Altrove è il moniker dell’artista genovese nata da madre italiana e padre Sud sudanese. Danzatrice, attrice e ora anche cantautrice con un disco dal titolo impegnato filosoficamente come “Tossica animica”: fame per la vita in se, concetto che raccoglie dentro un suono digitale ma anche molto orientato ad un minimalismo estetico dentro cui la melodia ma anche soltanto la parola nuda diviene unico centro di un manifesto a quella che vuol essere la diversità, l’emancipazione di vivere la vita con un’ottica di accoglienza e inclusione. E non mancano elementi di fascino radiofonico come nel singolo title track di cui esiste anche un bel video in rete.
Quanto colore Altrove… come a dire che in questo mondo che abbiamo non ci sono? Ci sono solo “altrove”?
Fino a 10 anni fa la maggior parte di ciò che ci circondava era grigio, blu, nero, bianco… un po’ di rosso e marrone a volte… le auto, i palazzi, i vestiti. Se prendevi un’auto verde pisello di deridevano; se vestivi arancione, giallo e fucsia ti deridevano… in Africa, in sud America, trovi casette di tutti i colori dell’arcobaleno, in India abiti e stoffe di migliaia di colori invadono il tuo cono ottico continuamente, ma da queste parti mi ha sempre colpito come si utilizzassero solo colori sobri e poco appariscenti. Ora le cose stanno cambiando, le auto iniziano ad avere colori sgargianti, gli abiti combinazioni di colori meno formali e tutto inizia ad avere un aspetto molto più allegro. I colori sono vibrazione e ci influenzano; contribuiscono alla bellezza del mondo e questo sia in senso pratico che in senso lato e metaforico. Voto per i colori del mondo come patrimonio dell’Unesco!
Moniker assolutamente didascalico… a cosa non appartieni?
La questione dell’appartenenza è scottante per chiunque, solo che, chi nasce e cresce in un contesto definito ordinario spesso non se ne accorge. Non si accorge di quanto appartenere a qualcosa governi l’intera esistenza privata: la cultura in cui si è nati, il paese che ti conferisce la cittadinanza e i diritti primari, la casa in cui puoi chiudere la porta all’estraneo… ovvero a chi non vi appartiene… la classe dell’asilo, il gruppo di amici in adolescenza, il gruppo sociale che ti conferisce uno status in età adulta e via così. È un continuo vivere in base alle appartenenze e l’appartenenza è sempre individuo vs collettività. Può succedere che, se dalla nascita il tuo paese non ti riconosce, i tuo compagnetti dell’asilo di escludono, la tua diversità con la pubertà si fa macroscopica, se ti guardi attorno non c’è nessuno che ti assomigli, il concetto di collettività sfuma, perde di valore, fino a diventare la cosa più estranea a te. La massa, il gruppo, la compagnia, l’ambiente di lavoro diventano situazioni in cui ci si identifica a fatica e allora le strade sono due: o diventi un’emarginata o diventi un’originale. Altrove per me non è passibile di pregiudizio… ci devi andare per poterne parlare.
Il disco si chiude con un dolcissimo manifesto per la donna… qualcosa di personale anche? O solo mera cronaca sociale?
Credo che l’arte sia quasi sempre influenzata da esperienze personali profonde, ma diventa arte solo quando queste esperienze vengono trasmesse in maniera tale da far sì che molte persone ci si possano riconoscere.
Prendo di mira la copertina: nuda tra le nuvole?
Nuda sì, nel senso di spogliarsi di un bel po’ di sovrastrutture e nella maniera più spirituale possibile. Emma Dante una volta ha detto “essere ignudi ha qualcosa a che fare con l’anima non soltanto col corpo”. Il significato della copertina vorrebbe rifarsi ad una simbologia molto comune in tutte le culture spirituali del mondo, il cui significato per me sta alla base della vita e del rapporto con i diritti umani. È il “come in cielo così in terra” che abbiamo sentito in diecimila messe… una delle frasi che più mi è rimasta impressa dalla mia indotta cultura cattolica. Ma già ai tempi del catechismo qualcosa non mi quadrava e appena avuta una coscienza semi autonoma, ho iniziato istintivamente a farmi molte domande e ad interessarmi alle culture spirituali del mondo, in maniera decisamente più antropologica che religiosa. Il come in cielo così in terra l’ho trovato dappertutto: era la base di ogni saggezza antica, di ogni tradizione sapienziale e rituale che incontravo, dove il rapporto fra l’alto e il basso era narrato come un atto naturale. Questa unione l’abbiamo nell’immensa cultura indù, nel rapporto fra purusha e prakurti, la materia e lo spirito… che anche la croce cristiana ha voluto in qualche modo rappresentare, trasformandola in immagine di dolore e sacrificio. La dimensione di unione fra basso e alto, nero e bianco, l’abbiamo nella cultura taoista con quel simbolo diventato così popolare; l’albero ambivalente lo troviamo nella Cabala… ma ne parlano anche figure autorevoli quali Jung, Réné Guenon, Gurdjieff e chiunque abbia indagato la natura umana nelle sue sfaccettature. L’albero è ciò che più ci assomiglia, attua una fotosintesi molto simile al nostro atto di inspirazione ed espirazione, è radicato a terra con radici come piedi amplificati e va verso il cielo con una chioma simile ad una testa, questa unione ci ricorda che la terra è una sfera e che per gli australiani siamo noi a testa in giù; ci ricorda che oggi possiamo raggiungere vette e domani precipitare in burroni, per poi riemergere nuovamente; ci ricorda di non dimenticare che il nutrimento spesso lo si prende da ciò che sta nascosto e che calpestiamo. In una delle mie prime lezioni di armonia musicale si parlava di composizione e l’insegnante disse questa frase che non ho mai dimenticato: “L’armonia comincia dal basso”.
E il senso del bello, del tuo corpo, del gusto estetico… quanto conta in tutto questo?
Adoro l’origine della parola “estetica”! “Aesthetica” ha origine dalla parola greca αἴσθησις, che significa “sensazione” e dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “percepire attraverso la mediazione del senso”. Chi mi conosce molto bene mi dice spesso che sento tutto troppo intensamente, nel bene e nel male. Quindi sì, l’estetica mi governa, amo cercare la bellezza in tutte le cose ma quella idea di bellezza è come ogni sensazione assolutamente soggettiva e non condivisibile.