Gli Zero.55 sono un punto fermo nel rock toscano sin dagli anni ’80. Riemergono dopo il grave lutto che ci ha portato via il bassista e co-fondatore Marzio Bianchini. Riemergono e decidono di dare alle stampe – e qui pregevole la stampa sempre ricca di personalità della RadiciMusic di Aldo Coppola Neri – un Ep di 5 brani dal titolo socialmente velenoso: “L’aria che tira”. A chiusa anche “Un giorno dopo l’altro” di Luigi Tenco… ma occhio: poco o meno di niente ha a che fare con i cliché della canzone d’autore tout court. Parliamo di rock, dai tratti new-wave, dalle allegorie dark. Nessuna rivoluzione sia chiaro… tanto mestiere e libera personalità all’opera.

Ho trovato questo disco di un gusto antico adatto al tempo di quando la vita era analogica, cioè vissuta e non programmata. Che ne pensate?
Assolutamente vero: tutto il disco è stato realizzato con un mood “analogico”.. Dalle registrazioni fatte praticamente live, all’ utilizzo di pedali ed effetti analogici e vintage. Tutto ha dato un sound, come dici tu, antico e in perfetta coerenza con lo spirito “vissuto e non programmato” di cui parli.

E in fondo il disco si apre proprio con due brani che chiamano alla profondità di pensiero. Comunicare e capirsi. Cose anacronistiche o sbaglio?
Bobo canta “vivere l’oggi è la scelta intelligente” e ovunque, nei testi del disco, c’è un richiamo a conoscere e capire. Speriamo che non sia un messaggio anacronistico ma universale!

C’è del glam anni ’90 e questo non possiamo negarlo. È da li che provenite in fondo. Oggi il glam che cos’è diventato?
Il glam è stata la stagione con la quale siamo cresciuti. Il nostro sound non lo richiama molto ma sicuramente ne sentiamo ancora l’influenza…il boa di piume è il cappello della copertina del disco ne sono il nostro omaggio. Se ancora ci sono gruppi di giovanissimi che ne sentono il fascino e che riempiono gli stadi, penso ai nostri Maneskin o ai Greta Van Fleet, ben venga… Dimostrano che quella stagione ha ancora qualcosa da dire!

L’inglese torna perché in fondo quelli erano anni di contaminazione con la scena americana? È da li che viene anche la vostra scelta di usarlo?
Non lo usiamo in realtà moltissimo… In “We Feel Alive” lo abbiamo preferito perché ci è venuto in mente questo ritornello e qualsiasi traduzione ci sembrava meno efficace.

E questa new wave? Posso dirvi che siete decisamente più “tedeschi” che inglesi o americani?
Lo prendiamo decisamente come un complimento! L’Europa come musica indie sta sfornando cose molto interessanti e noi cerchiamo di fiutare, appunto, l’aria che tira!!