Ci sa fare Tizio Bononcini. Sa prendersi in giro, sa mettere in scena il degrado con gusto e un glam-pop davvero invidiabile. Sa essere eclettico, folle, padrone di quel modo ciclico dentro cui si osanna la stortura per poi distruggerla. Come quando in “Uomo macho” sa bene chi sta dalla parte del ridicolo. Che dire del titolo di questo suo nuovo disco: “Tutto il mondo è un palcOSCENO” la dice lunga, anzi lunghissima. Punto a capo: ci affascina la sua moda, il suo vestire gli abiti assurdi di un partigiano dei tempi moderni, ci piace la sua canzone perfetta ai bordi e dentro le sfumature – decisamente rivolte a chi ha palato fine e intelligenza.
Sicuramente con “Uomo macho” ti abbiamo conosciuto ed è da lì che ripartiamo. Il tuo disco parla di presente eppure, da come lo metti in scena, sembra di stare alla preistoria della stupidità. Cosa ne pensi?
Sì, l’album per la maggior parte punta il riflettore del pop cabaret su vizi e debolezze del presente. Puntare il riflettore non vuol dire puntare il dito. Non parlerei di denuncia o atti d’accusa alla società. Io sono un osservatore che è parte di quei vizi e debolezze. Semmai punto una buffonesca lente d’ingrandimento usando l’iperbole e il paradosso. Su certi temi sociali e sull’informazione siamo in effetti messi non benissimo. Ma mi pare che pian pianino le cose stiano un po’ evolvendo. Forse sono troppo ottimista, non so. Rovesciare abitudini e stereotipi è durissima. Nel disco, mi rendo conto ora che mi ci fate pensare, alludo proprio anche alle abitudini dure a scardinarsi (Mario l’abitudinario). Tutto torna!
Tornando invece a “Uomo Macho”… mentre rispondo a questa intervista si stanno svolgendo i funerali e il lutto nazionale per un emblema italiano del machismo (tra le altre piacevolezze), che abbiamo esportato in tutto il mondo. Più attuale di così…
Il dopo pandemia per te cosa ha rappresentato? Una rinascita oppure un tappeto di cocci da raccogliere?
In effetti una rinascita. Ma faticosa, come tutte le nascite: tornare ad alzare il culo dal divano è stata dura, lo ammetto. Ma ci voleva. Anche se, lo dico spesso, decreterei un lockdown (senza virus) biennale o quadriennale. Di un paio di settimane. Una sorta di giubileo. In cui il mondo si ferma e rallenta. E respira, e prende fiato. Pur nel dramma del momento, ho vissuto il primo lockdown come una bolla d’aria in cui finalmente respirare. E’ un paradosso, me ne rendo conto. Solo il primo, le successive chiusure e limitazioni mi hanno estenuato, in verità.
Colori accesi che sembrano alludere (con denuncia sempre) al lato estetico imperante della vita. Ha senso questa lettura?
Mah, non l’avevo pensata così. Ma un’opera rivolta ad un pubblico ha sempre sia il significato dell’autore che quello degli osservatori. E nessuno di essi è sbagliato. Quindi perché no! I colori sgargianti volevo che ci fossero, sia nella grafica sia nella musica. Credo che serva musica colorata e accesa, per parlare di certi argomenti con ironia e autocritica.
A me comunque il lato estetico piace assai!
Collaborazioni altrettanto fuori dai luoghi comuni. Giacomo Toni e Roberta Giallo ad esempio… come le hai scelte?
Collaborazioni dettate dalla stima artistica e dalla “giustezza” (si dice?) della loro presenza in un determinato brano. Provando e riprovando La Trama e L’Ordito a casa al piano, un giorno mi sono detto “oh, ma sto pezzo cantato da Giacomo Toni? Sarebbe una figata!”. Lo stesso per Biscotti: mentre lo cantavo mi venivano fuori dei passaggi che mi ricordavano le evoluzioni vocali di Roberta Giallo (vabbè, non che io canti come lei, ovviamente… ma ci siamo capiti)… ed è stato naturale contattarli e chiedere loro se avessero avuto piacere di collaborare. Così come per Luca Fol e Giulia Ventisette (con la quale avevo già collaborato in vari videoclip miei e suoi).
Un disco oggi torna a fare politica secondo te?
Ma oggi… chi si ascolta più i dischi? Sicuramente non funziona più come negli anni 70. La musica diventa sempre più uno zerbino di sottofondo, da ascoltare distrattamente. I messaggi viaggiano più che altro sui social e le canzoni vanno a fare da colonna sonora (se SIAE e Meta si accordano). Ok, fine del pippone disfattista. Quando ho suonato Mischiacolore dal vivo ho visto e percepito che il messaggio arrivava. E forte. Qualcuno me l’è anche venuto a dire di persona. E poi, come dico sempre, tutto fa politica. Anche quando si mangia un piatto di maccheroni. Figuriamoci un album!