Questo nuovo disco di Picciotto, al secolo Christian Paterniti, è un viaggio lungo 20 brani. Un manifesto di dissenso contro le abitudini moderne ma anche un lunghissimo percorso introspettivo suddiviso dentro 4 capitoli che indagano da vicino il significato dei rapporti umani… con se stesso, con la tecnologia, con i propri limiti. Il tutto si fregia della pubblicazione per mano de Lo Stato Dell’Arte, label dal DNA sociale… e tutta l’allegra famiglia si riversa in questo disco di Picciotto che ripone nei suoni radici classiche e antichi modo americani. Da vicino “Rapporti” suona con moltissimo gusto nostalgico anni ’90 e 2000. E non è un banale amarcord…
Un concept lunghissimo per le nostre abitudini. È stata una provocazione alle normalità liquide di oggi?
Assolutamente si. Sono stanco, quantomeno nella musica, di una certa fluidità consumistica. Se ascolto un disco voglio godere di ogni aspetto dell’artista che ascolto e questo non può limitarsi ad andare sotto la mezz’ora. Altrimenti non sono dischi, con tutto il rispetto li reputo “sveltine” e a me piacciono i “rapporti completi” , quelli che ti lasciano addosso qualcosa che poi vuoi riascoltare e riassaporare ancora. Ho però pensato anche alla formula “ibrida” infatti l’album puoi ascoltarlo anche in singoli capitoli da 5 tracce l’uno senza perdere il filo del concept ma magari incuriosendoti di più.
Per te i rapporti oggi sono migliorati o sono peggiorati?
Sono assolutamente peggiorati. Sia a scuola, con il lavoro che faccio, sia nei luoghi di socialità che attraverso, noto un’enorme difficoltà a relazionarsi oltre la superficie. E’ come se dovessimo adeguarci all’immagine che offriamo sui social spaventandoci della nostra stessa complessità e nascondendo dei lati umani che abbiamo tutti. La stragrande maggioranza delle persone mi sembra che sfugga dal sano conflitto in qualsiasi discussione che non sia dietro una tastiera. Ma sono i conflitti, i differenti punti di vista e il confronto che fanno crescere le relazioni. Solo che oggi puntiamo più a far crescere i follower rispetto al coltivare relazioni autentiche. Quest’onda, specie nei più giovani, mi fa tremendamente paura. Nei miei coetanei invece mi trasmette profonda tristezza.
Ma in generale questo futuro tecnologico ha contribuito all’evoluzione dei nostri rapporti?
Come in tutto secondo me ci vuole equilibrio. Instillare finti bisogni relazionali o materiali nelle nostre menti ha portato un distacco dalla vera identità umana e oggi si tende sempre di più a distorcere la realtà in base a ciò che gli altri si aspettano da noi mettendo in stand by la ricerca di chi veramente siamo e sentiamo di essere. E’ funzionale poter dialogare con persone a distanza o distrarsi/informarsi attraverso i social. Non tutti però abbiamo strumenti elaborativi che ci stimolano ad approfondire rapporti e informazioni. Galleggiamo in superfice appagando l’ego e fomentando inconsciamente un’affollata solitudine.
Ti chiedo questo perché dalle liriche molto critiche verso la società di oggi, penso tu sia dalla parte della verità e non del fake… e non è una cosa tanto scontata…
Dici bene. Questa continua frammentazione ci parcellizza e le cause future per la società possono essere devastanti. E’ fondamentale ascoltare se stessi e saper “sentire” l’altro, nel piacere ma anche nel disagio che spesso è comune ma non lo si racconta. Però pensiamo di essere pieni dell’altro perchè scrolliamo in continuazione profili altrui e ci convinciamo di conoscere tutto il bello quindi quando poi ci s’incontra di quello si parla. Il lato “buio” che ognuno di noi fisiologicamente possiede sta fuori dalle vetrine e purtroppo sempre più fuori anche dai dialoghi. Ma è l’equilibrio tra le due parti che fa conoscere la persona. Quindi in musica, così come nella realtà, il “fake” è spesso inconsapevole ma si presenta. Indossiamo maschere ben salde per ogni occasione che dobbiamo tenere per non deludere gli altri. Rischiamo di deludere noi stessi però quando ci ritroviamo soli a fissare il vuoto, che sia il soffitto distesi a letto o più comunemente lo schermo che acceca la vista e distorce lo sguardo sul presente che viviamo. Se resta il pollice la cosa muoviamo più spesso (anche metaforicamente coi like) abbiamo un problema.
Il suono come pensi abbia codificato tutto questo? Hai fatto una ricerca particolare?
No. Nessuna particolare ricerca ma ho meglio definito il mio suono rendendolo ancora più trasversale. Sono partito dal mood che m’ispirava il tema trattato e le conseguenti produzioni sono diventate la perfetta colonna sonora che oscilla tra le sfumature del mio carattere.