Per la produzione artistica a cura di Marco “Mandama” Dorizzi, torna in radio l’eclettica visione futurista di Giorgiamariasara con il brano dal titolo assai evocativo e manifesto: “Autotune”. Viviamo tempi dentro cui la normalità non contempla la deviazione dalla regola. Nell’arte come dentro la vita di ogni giorno. La critica sociale è sottile ma anche severa. E Giorgiamariasara decide di usarla questa regola di normalitzzazione… per denunciarla…
Sensualità decisamente sfacciata. Il tuo corpo è protagonista nelle immagini promozionali di questo brano. Che rapporto hai con il tuo corpo?
Terribile, vanità negata. Sono una super pretenziosa (col mio corpo soltanto, degli altri corpi accetto praticamente tutto) che è sempre stata imperfetta. Ho sempre avuto problemi di gestione del peso e complessi legati a questo, e ora che finalmente – da solo pochi anni, tutto sommato – mi vedo attraente comincio a invecchiare. Vabbè, sarò un’interessante signora di mezza età che per gran parte del tempo – non tutto – si accetta.
Te lo chiedo perché in totale antitesi il brano mette in relazione (parlando con allegorie) di tutti noi in relazione con una società sempre più automatizzata. Dunque, Giorgiamariasara che rapporto ha con gli algoritmi?
Ragionare di algoritmi richiede un’organizzazione, una precisione e banalmente anche una presenza (intesa proprio come assiduità) che decisamente non ho. Nessuna delle tre, proprio. Non avendo nessun’arma per farmeli amici, gli algoritmi sono per me dei temibili sconosciuti.
E con i social network? Sei una persona, come dire, social?
Io penso di essere molto social ma in un modo del tutto disordinato e scostante. Sono “molto social” semplicemente perché ho 40 anni e ho accesso a internet da quando ne avevo 11. È un’abitudine, capisco in parte anche i ragazzi di oggi che sostanzialmente sono cresciuti già allacciati a tutto e tutti, solo che io a volte sembro invisibile e a volte faccio un sacco di chiasso, senza alcun apparente filo logico.
Pensando alle allegorie di vita: un “Autotune” nella quotidianità che abbiamo, cosa rappresenta per te?
Non saprei. Attestati, diplomi, lauree, punti sul curriculum e poi nessuna particolare predisposizione o creatività nel lavoro che svolgi. Anche quando dal tuo lavoro dipende la vita delle persone. Mi sa che sono un po’ avvelenata su questo punto, in questo periodo: l’abito non fa il monaco. L’autotune è l’abito e di monaci ne vedo pochi.
E davanti a tutto questo come ne usciamo? Come torniamo veri?
Guarda, io riesco ad andare sempre nella direzione opposta a quella che mi farebbe comodo, non per scelta e neanche per idealismo, semplicemente perché evidentemente non ne azzecco una. Ho intuito da alcuni commenti di amici sul testo e da alcune domande, che a qualcuno sembra che io prenda le distanze, ad esempio, dall’omologazione. Magari! Io non sono ancora arrivata a capire se mi omologo e non me ne rendo conto, se non mi omologo non per libertà ma per l’altrettanto pressante desiderio di voler essere alternativi… e chi lo sa? A volte dubito della mia stessa percezione. Mi consolo rispondendomi che porsi continuamente questo genere di domande potrebbe di per sé essere un antidoto, e che quindi devo continuare a pormele – seppure non abbiano mai una risposta certa – per assicurarmi di non diventare meno critica.