La penna di Giacomo Casaula è pulita, credibile, sincera. “Amore sintetico” è un disco di vita, di sentimento, un lavoro che allude a quel certo modo di vedere le nuove normalità sempre troppo estetiche, sempre troppo perfette e “sintetiche” come la plastica. Eppure c’è umanità… e lui la fa suonare bene.
Attore, scrittore, cantautore… l’espressione è il centro. La forma? Per te che peso ha la forma?
Un peso importantissimo, è il modo con cui cerchiamo di comunicare, di veicolare idee, emozioni. Nel caso di ‘Amore sintetico’ la forma è sicuramente quella del Teatro-canzone, come per il mio primo progetto ‘Nichilismi & Fashion-week’.
Te lo chiedo perché ho trovato moltissima coerenza dentro questo disco… come a voler indicare una forma che sia una soltanto… o sbaglio?
Si, ho anticipato prima la risposta. Credo che in ogni progetto artistico ci debba essere una coerenza strutturale, anche quando ci sembra di accostare temi, formule ed espressioni apparentemente differenti e inconciliabili.
“Sintetico” potrebbe anche stare per sintesi? Oggi siamo tutti decisamente veloci, procediamo per sintesi… non trovi?
Assolutamente sì. Nella parola sintetico c’è una voluta ambiguità, da una parte qualcosa che richiami direttamente la liquidità in cui siamo immersi dall’altra le sintesi sempre più estreme che ci spingono a correre, correre e ancora correre.
In che modo la tua musica cerca la rivoluzione in tutto questo mondo di plastica?
Non so se il mio progetto miri alla rivoluzione. Credo si muova in direzione del dubbio, dei punti interrogativi, della ricerca che può contrastare anche le realtà precostituite. Forse la rivoluzine è proprio questa.
Che poi alla fin della fiera: non siamo tutti complici del “sintetico”? Anche in questo disco in fondo intervengono le macchine…
Certo che lo siamo. Ma penso che l’alternativa sia l’eremitaggio. Scelta coraggiosa, ma che non fa per me.