Sembra di vivere un vero ritorno al passato con un disco che sfoggia un indie pop in tutti i suoi cliché. Va detto con estrema sincerità che manco di quel passaggio che è la lettura dei testi che sicuramente in un disco di questa natura richiede per avere tutto chiaro e a portata di ragione. Però è anche vero che l’estetica che porta in scena non è di quelle che subito sfoggia impegno e filtri intellettuali… anzi è un disco decisamente pop che sin dalle prime battute si mette in cerca di soluzioni facilmente riconoscibili. Sono personaggi a limiti d’esistenza ma in fondo sono momenti quotidiani comuni a tutti. Sono i margini della nostra vita di ogni giorno che forse dobbiamo raggiungere, sfidare, superare… avvicinarci. Si intitola “Vicini Margini” ed è il nuovo disco disco di Angelo Iannelli.

Nel passato dicevamo: si ascolti i synth che caratterizzano i primi vagiti di “Elettronica”, brano che apre tutto l’ascolto. Siamo dentro quei videogame anni ’80, colorati da pochi bit e quadrettoni mobili sullo schermo. E questa voce trascinata e strascicante proprio dell’indie pop di queste nuove generazioni. La notte metropolitana di “Dag”, le figure che pescano dall’arte e dalle mode quasi moderne (cifra stilistica del pop della nostra adolescenza), questa voce in bilico tra Baglioni, Venditti e Calcutta…

Dentro “Artur”, caratterizzata da melodie e arrangiamenti che mi riportano all’Italia degli anni ’70 (sempre li insomma si finisce per parare). Eh si che la title track vince nell’inciso, eh si che la strofa ostinata e i synth di “Litri di trucchi” non smentiscono la formula, però “La ragazza sulla barca di legno” – e qui azzardo – esteticamente cambia scenario, punta su riverberi grandi, la bella voce sicura di Iannelli si spinge in dinamiche decisamente espressive che tutto, esteticamente parlando, sembra strizzare l’occhio alla forma di quella leggendaria “Almeno tu nell’universo” (e guarda caso finivano gli anni ’80). Gioca e si diverte con le soluzioni nella chiusa “Paolo e Francesca”, e devo dire che questo brano dimostra a pieno come il cantautore romano sappia lavorare di arrangiamento.
In fondo va così: questo disco non porta niente di nuovo sotto al sole, forse fa troppo affidamento a mondi ampiamente conosciuti tanto da peccare di personalità. La bella voce, sicura e puntuale di Iannelli sa essere convincente ma il tutto paga un debito di espressione nel suono fin troppo digitale, troppo preciso e compatto, troppo seduto dentro dinamiche inesistenti, soprattutto nella sezione di drumming.